Il lavoro dei registi mantovani Mario d’Anna e Stefano Mangoni ha ottenuto premi e riconoscimenti in 25 festival cinematografici. Girato all’ospedale Poma di mantova, racconta la vita in trincea dei professionisti dell’Asst locale fra il settembre 2020 e il marzo 2021. Come scrive Elena Miglioli per la Gazzetta di Mantova, è “un documentario che commuove a ogni fotogramma. Le testimonianze e i silenzi sopra uno sfondo buio che li esalta, spingendo sul contrasto, sono inframezzati da brani di Virgilio, Manzoni e Procopio: n intreccio fra il presente e le grandi epidemie di peste della storia. C’è l’infermiera che ricorda di essersi fermata oltre il turno massacrante di lavoro solo per radere un paziente. Perché così si era raccomandata più volte la moglie di lui al telefono: «La prego, non lo lasci mai con la barba lunga». Lei non ce la fa in mezzo a “tutto quel caos”. Le manca il tempo. Ma quando il malato muore, decide di onorarlo nel modo migliore. Tagliandogli la barba. Come recitando una preghiera silenziosa al suo capezzale. C’è anche il medico che ha imparato a parlare e ad ascoltare con gli occhi. Quanti occhi scolpiti sopra le mascherine in quelle stanze d’ospedale. «I miei occhi sono i suoi occhi», dice una donna della madre chiedendo rassicurazioni sul suo stato di salute in reparto. La verità degli occhi, a cui non si sfugge. Le emozioni di chi ha curato scorrono come acqua caldissima insieme a quelle di chi è stato curato nel docufilm “Covidays”, aperto da “L’onda”, che riporta queste testimonianze struggenti, raccontando i primi mesi della pandemia. Il cortometraggio Manuel completa il lavoro. I registi mantovani Mario D’Anna e Stefano Mangoni stanno facendo il pieno di consensi con il corto, che recentemente ha ottenuto premi e riconoscimenti a 25 festival cinematografici in giro per il mondo: miglior film italiano, miglior fotografia, miglior regia, un elenco lunghissimo. Qui la telecamera fa un salto nel passato. È il 1943. S’intravvede Manuel, ragazzino ebreo nascosto in una soffitta con la madre e il padre per sfuggire ai rastrellamenti nazisti. Il suo respiro affannoso, nei momenti di panico, ti scava dentro già dalla prima scena. E riporta subito la memoria alla fame d’aria di chi è finito nella morsa del coronavirus. Un ponte tratteggiato con grazia, dove si cammina immersi nella musica incantevole composta per la colonna sonora da Eugjen Gargjola. Con la poesia delle immagini e degli sguardi che fermano il tempo“.
